Facciamo parlare Giovanni Canestrini……..

Achille non era solitamente loquace, ma nei momenti di serenità, con gli amici si apriva senza reticenze e senza sottintesi. Non era il tipo. In uno di questi momenti, e ce ne è stato testimone il caro amico e collega Corrado Filippini, compagno di lavoro per tanti anni, aveva detto presso a poco: ” un Uomo nella vita deve o dovrebbe considerarsi fortunato, se è mosso, nelle sue azioni, da un’aspirazione viva ed intensa, tale da conferire alla sua esistenza un ben definito significato : se riesce a tradurre in realtà questa sua aspirazione “.

 

Quando Varzi si abbandonava a queste considerazioni sulla sua vita era già, come si usa dire, un uomo arrivato. Un uomo che poteva confessare a sé stesso, di avere raggiunto in buona parte i suoi scopi, e di non avere tradito le premesse della sua carriera: quella dello sportivo, del corridore. E aveva rapidamente rifatto le tappe di questa sua carriera, fino dal principio.
Gli idoli di Varzi ragazzo erano stati i grandi campioni della guida del tempo: i Lancia, i Cagno, i Nazzaro; ma soprattutto Felice Nazzaro, colui cioè che avrebbe considerato, più tardi, il suo maestro, e che aveva costituito il suo modello ideale.
A correre, a gareggiare, aveva però incominciato con la motocicletta, perché era stato quello il primo mezzo meccanico che gli era capitato, per primo e facilmente, tra le mani. A metterlo fra le mani a lui ed ai fratelli Angioletto ed Anacleto,

era stato il padre Menotti “perchè facessero più presto”. E poi la moto, era chiaro, costava molto meno dell’automobile. Con le moto tra le mani, i tre Varzi prima, cominciarono a fare le corse fra loro e con i pochi fortunati galliatesi che la possedevano, e poi in manifestazioni sportive autorizzate e controllate. Nel 1921, ai tempi dei Garanzini, dei Vailati, dei Rava, dei Biagio Nazzaro, Achille Varzi a soli 17 anni, cominciava già a mettere le ali in campo motociclistico; correva dove poteva e contro chi poteva, senza complessi e senza timori reverenziali. Nel 1922 comincia a vincere, e si impone al Circuito del Tigullio, ed a 19 anni diventa campione italiano della categoria seniores; – un seniores che non è ancora maggiorenne -, nella classe 350 cc, e vince nella stessa classe il celebrato Circuito del Lario.

L’anno dopo, nel 1924, si distingue al Tourist Trophy, la classica inglese di motociclismo, vince ancora il Lario, e nel 1925, dopo un periodo non felice, ma ricco di esperienze, fatte in un mondo nel quale dominavano i Nuvolari, i Ghersi, i Saetti, i Maffeis e Faraglia, Panelli, Prini e Gnesa, ed altri eccellenti campioni della moto, Varzi conquista il titolo italiano della 500 – mentre Nuvolari si aggiudica quello della classe 350 cc -, dopo avere scritto il suo nome nel libro d’oro del G. P. delle Nazioni, alla guida di una Sumbeam 500 cc.
Io lo avevo conosciuto nel 1924 a Novara, durante una delle tante corse motociclistiche locali. Una conoscenza rapida, tra un controllo e l’altro. E m’avevano subito colpito i suoi grandi occhi cerulei, ed il suo sorriso da fanciullone, quale era, oltre che la sua tenuta da corsa con giubbetto di pelle, pantaloni a scacchi alla zuava e calzettoni. Fu nel 1926 che ebbe la possibilità di disporre, probabilmente per l’interessamento di Vailati, il suo grande sostenitore ed amico, di una Bugatti 1500, 4 cilindri. Non gli pareva vero.

Si svolgevano sull’autodromo di Monza alcune manifestazioni promosse dal Club dei Cento all’ora, in memoria di Antonio Ascari, e non esitò, visto che poteva finalmente avere fra le mani una quattro ruote da corsa, ad affrontare i campioni dei ” cento all’ora “. Per essere ammessi a tale club, gli aspiranti dovevano superare, in una prova controllata, i cento chilometri di media sui dieci chilometri del percorso dell’autodromo. Ora l’impresa sembra facile, ma a quei tempi non lo era; e s’ebbe anzi a deplorare qualche grave incidente durante le prove di ammissione.

Fu la prima volta che vidi Achille Varzi su un’automobile da corsa. Ero infatti presente alla sua gara, che si concluse presto per avaria meccanica. Ho ancora davanti agli occhi il rientro nella zona dei boxes della sua piccola Bugatti 1500 cc verniciata di verde, i colori della Gran Bretagna. Achille pareva soddisfatto della sua prova, anche se troncata troppo presto. Era soddisfatto perché, come ebbe a dire, ” l’impresa era stata facile e naturale, come se la avesse già affrontata tutti i giorni “. Eppure il nostro Achille non aveva seguito corsi o prove di guida particolari, non aveva avuto istruttori, probabilmente aveva ancora una vaga idea di regolamenti e di norme di corsa. Ma era ” fatto ” per gareggiare su due o su quattro ruote. Gli era bastato assistere da spettatore alle prove dei suoi beniamini: di Nazzaro, di Bordino, per assimilare un grande principio della tecnica del guidare: quello di impiegare, nella guida il minimo di energia, che voleva poi dire quello di curare lo stile con naturalezza, con eleganza, proprio come faceva Nazzaro, e che in definitiva equivale a ridurre le resistenze del mezzo che si governa. Era un principio che Varzi aveva innato, che si manifestava in ogni manifestazione della sua vita, e che ha seguito nella sua attività di corridore. Per vincere, non c’è bisogno di seminare gli avversari o l’avversario, basta mettere il muso della macchina davanti al muso di quella dell’altro, magari di un solo centimetro, sole va ripetere. E quando gli si chiedeva perché nelle partenze non spingeva mai a fondo, fino all’inizio, magari per prendere la testa, osservava: perché debbo correre dei rischi, quando ho di fronte tutti i miei antagonisti, mentre basta avere un po’ di pazienza, ed aspettare che si riducano a metà ? Di solito, e c’erano statistiche a confermarlo, prima della metà dei giri da. percorrere in una gara, il cinquanta per cento delle, vetture in corsa, era già fuori combattimento. E allora che conviene impegnarsi a fondo; è nel finale, anche per cogliere nel momento psicologico più delicato qualsiasi corridore.
Raramente Varzi prendeva la testa nelle sue corse alla partenza, se non per cautelarsi da eventuali o possibili difficoltà di sorpassi nella fase iniziale. E assumeva il comando, e imponeva il ritmo di gara solamente quando intendeva, od aveva predisposto di sfiancare al più presto possibile qualche avversario. Preferiva, di solito, tallonarlo pazientemente, ma molto attentamente, allo scopo di controllarne le manovre: i cambi, le frenate, le traiettorie delle curve, le incertezze, il ritmo di corsa. Manuel Fangio, in questo è stato un suo attento e scrupoloso allievo; e tutti sanno che, fino dalla prima volta che lo aveva visto in gara, Achille Varzi lo aveva subito notato e, più tardi, incoraggiato ed assistito.
Era proprio la tattica opposta che, invece, preferiva Tazio Nuvolari. Ma non era solamente questa; diversità di concezione della tattica di corsa, a differenziare Varzi da Nuvolari, il galliatese dal mantovano, due personaggi che, praticamente, caratterizzarono e condizionarono tutto il periodo di attività sportiva automobilistica che va dal 1929 al 1939. Quando Achille Varzi aveva cominciato a correre in motocicletta, Nuvolari aveva già trent’anni; smobilitato dopo la prima guerra, alla quale aveva partecipato come autiere, aveva ripreso subito il suo sport preferito, distinguendosi naturalmente con facilità, pure trovandosi ad affrontare campioni di grande valore. Ma l’arrivo di quel ragazzo di Galliate, che non aveva complessi, che possedeva doti atletiche non comuni, che aveva sempre l’aria di prendere in giro chiunque (in realtà non era poi vero), e che veniva ad affrontarlo in motocicletta, dove lui era già un asso, e per la grande folla ” il nivola “, francamente lo aveva infastidito.
” Varzi: un grande pilota, forse meno appariscente di Nuvolari per la grande folla, impressiona l’esperto per la classe, lo stile veramente superiori che dimostra in corsa. In qualche gara da me osservata e vissuta e, purtroppo da spettatore, ho trovato in Varzi tale gamma di finezze stilistiche e tattiche, che veramente mi hanno impressionato. Una coniugazione perfetta tra muscoli, cervello e mezzo meccanico. Il suo ardimento non conosce la temerarietà: conosce il fine ultimo, la vittoria, con un dispendio di energie ragionato e ponderato “.
» questo il giudizio di colui che “ha inventato” lo stile di guida dell’automobile, che ha vinto tutti i gran premi del 1907 (il G. P. dell’A.C. di Francia, la Coppa dell’Imperatore e la Targa Florio), e che concludeva la sua lettera, parlando dei “giovani” e dei loro problemi così: “in qualcuno di questi giovani ho notato la evidente classe e la particolare attitudine per diventare campione di sicuro avvenire, sempre che la serietà , di intendimenti, lo spirito di sacrificio, e lo studio del mezzo meccanico, li orienti sempre più verso quel perfezionamento spirituale, materiale ed agonistico, indispensabile per diventare un ottimo pilota”
Ed è un consiglio che vorrei venisse meditato dai giovani di oggi, corridori o dirigenti. I due rivali continuavano a punzecchiarsi in campo motociclistico, ma tutti e due meditavano il passaggio all’automobile; si trattava di trovare la via per poterlo fare. Nuvolari aveva già tentato attraverso Ansaldo, Chiribiri, una tournèe in Spagna all’autodromo di Sitges, dov’era andato con Gigi Plate, ma le case, le squadre ufficiali gli erano sbarrate; a quei tempi dominavano Emilio Materassi, Campari, Meo Costantini, Brilli Peri. L’ Alfa Romeo aveva fatto il vuoto attorno a sé, con la insuperata P.2, e correvano solamente i fortunati che potevano comperarsi una Bugatti: Pugno, Bona, Aymo Maggi, Conelli, valorosissimi gentlemen che sapevano frenare, ed anche. qualche volta domare gli stessi piloti delle squadre ufficiali. Brilli Peri, Alfieri Maserati. Materassi, formavano un trio pittoresco ed ammirevole per la loro passione, per il loro estro, per la loro ingegnosità ed intraprendenza. Erano tempi duri; con la fine della formula del litro e mezzo e, praticamente, con il ritiro ufficiale delle maggiori case, l’attività sportiva languiva.
Nacque la Mille Miglia: Nuvolari e Varzi si iscrissero, il primo con una modesta Bianchi (ma faceva parte della squadra ufficiale della casa), il secondo con una Lancia lambda. Nuvolari prese la partenza con Cesare Pastore al fianco; Varzi, che doveva fare equipaggio con Cerri, vi rinunciò. Sapeva che, con la sua normale vettura da turismo, non c’era da sperare in un buon piazzamento. S’era intanto divertito – come Aymo Maggi – a fare le sfide con i treni. Era il tempo nel quale, noi automobilisti, volevamo dimostrare che il treno era un mezzo di trasporto superato o, comunque, troppo lento. E Varzi lo dimostrò, ingaggiando un duello con “il pullman ” che viaggiava da Milano a Sanremo.
La rivalità fra i due era scoppiata, inevitabile, specialmente dopo scontri sul Circuito del Lario motociclistico, che gli sportivi italiani chiamavano il Tourist Trophy italiano; un circuito che sembrava fatto apposta per mettere in evidenza, e per esaltare le doti degli uomini di classe.

  Il “duello ” Nuvolari-Varzi, che doveva praticamente tenere il cartello, ed elevare il livello competitivo della manifestazione di tutta un’epoca, era dunque cominciato sulla motocicletta . Un duello nel quale spesso il terzo incomodo era Pietro Ghersi, motociclista di eccezionale coraggio e valore, che più tardi ai due amici s’era affiancato, ma con più modesti risultati, anche in automobilismo.

Senza affatto volere tentare di svalutare il valore di tutti i grandi piloti di questo periodo, che erano molti – e basterebbe citare i nomi di Benoist, di Chiron, di Wimille, di Materassi, di Campari, di Caracciola, di Fagioli, di Rosemeyer, di Lang, di Stuck, – è fuori di dubbio che va a Varzi ed a Nuvolari il grande merito di avere eccitato la passione e la fantasia delle folle europee, ed in particolare italiane, e di avere dato vita ad appassionanti competizioni. Sia per le loro doti di sportivi e di guidatori, ma soprattutto per le loro personalità tanto diverse e discordanti. Veemente, combattivo, autoritario, tutto nervi pure nella apparente fragilità del suo fisico, Tazio; calcolatore, pedante, stilista e composto nella guida, come nella vita, Achille. Il primo considerava l’automobile un meno di combattimento e di conquista, di gloria e di popolarità; il secondo uno strumento per soddisfare una esigenza interiore, per affermare la propria personalità, per soddisfare sè stesso. Non poche volte Varzi, che era attentissimo e sensibile a quanto di lui si diceva e si scriveva, mi aveva detto nei suoi momenti di sincerità: ” se questa gente che si occupa di me, sapesse che io corro per me stesso e per poche persone, per quelle poche persone delle quali mi preme il giudizio, non se la prenderebbe tanto “. E lo vidi commuoversi (ed era raro che accadesse), quando gli lessi una lettera che mi aveva scritto Felice Nazzaro (la lettera è del 22 ottobre del 1937) nella quale ” il maestro ” aveva accolto il mio invito ad esprimere un giudizio sui due grandi rivali. “Non avendo gareggiato direttamente con questi piloti – scriveva Nazzaro – ho però personalmente seguito le loro gesta in gran numero di competizioni estere e nazionali. Da ognuna di esse ho sempre tratto una impressione profonda: sono due grandi, due veri assi del volante. Singolarmente analizzati e studiati, balzano evidenti due caratteri, due metodi, due sistemi che portano sempre alla conclusione vittoriosa. Giudicati singolarmente: Nuvolari è tutto fuoco ed ardimento. In ogni competizione profonde tutte le sue energie, tutto il suo incommensurabile coraggio. Tende solo verso un’unica meta: trovarsi in testa alla muta dei concorrenti, precederli tutti. Il suo spirito indomito e battagliero lo porta fino dall’attimo della partenza, verso una irresistibile marcia verso il successo pieno ed incondizionato.
Nel 1928, Nuvolari che aveva potuto, con .le sue vittorie al Reale Premio di Roma ed al Circuito del Garda, entrambe al volante di una Bugatti – l’anno prima – propiziarsi il costruttore di Molsheim, proponeva a Varzi di fare assemblare una combinazione, imperniata appunto sull’acquisto di due vetture Grand Prix Bugatti. Dopo lo scossone della Mille Miglia, in campo sportivo cominciavano a diradarsi le nubi, nel cielo dell’automobilismo sportivo. Era la prima ” scuderia ” che nasceva, subito dopo quella di Materassi, soprattutto grazie all’intervento finanziario di Cesare Pastore, grande amico del mantovano.

 

Ed esordì a Tripoli, affermandosi subito con Nuvolari al primo posto e Varzi al secondo, avendo rinunciato a correre sia Materassi che Arcangeli, per un cavillo regolamentare.Identico risultato s’era registrato al Circuito di Alessandria, dove ancora Nuvolari e Varzi, sulle loro Bugatti erano giunti primo e secondo. Ma il galliatese aveva capito, anzi constatato, che il suo socio non era imbattibile. Varzi aveva infatti potuto superare in corsa, il giro più veloce di Nuvolari. E si può dire che, proprio dopo questa competizione alessandrina sia scoppiata, irriducibile, la rivalità fra i due grandi campioni che, come s’è detto, ravvivò quello che possiamo chiamare il periodo d’oro dell’automobilismo sportivo. Rimasero naturalmente amici, fuori delle competizioni, ma sia l’uno che l’altro, avevano piena coscienza di non essere uno da meno dell’altro. Non solo; capirono anche che, sul piano tecnico-sportivo si integravano e, reciprocamente, si stimolavano. Senza Varzi, probabilmente, la grandezza di Nuvolari sarebbe risultata attenuata; senza Nuvolari, lo stile, la tecnica, l’intelligenza di Varzi, adombrate. Bisogna però anche dire che, non sempre, questa loro rivalità ebbe a dimostrarsi positiva, specialmente fuori dei campi di corsa. Difficilmente l’uno seguiva quello che l’altro faceva, se non altro per non sembrare un imitatore; e se uno si vestiva dal maggior sarto di Milano, l’altro, i suoi abiti sportivi li faceva confezionare addirittura a Londra; se a Varzi piaceva la vita notturna, in compagnia di una piccola corte di amici e di ” invitati “, a Nuvolari piaceva la vita di casa, con i suoi due magnifici figli, Giorgio ed Alberto e con la signora Carolina. Ma quando uno aveva assunto un segretario, anche l’altro, sia pure in sordina, lo aveva fatto, ed entrambi erano sensibili, sia pure in vario modo, agli stimoli ed alle chiacchiere dei clans, che contribuivano di solito ad irritarli. Ma erano piccole nubi che, alla fine, quando erano l’uno di fronte all’altro, sparivano magari dopo qualche battuta. Una passione che li accomunò, oltre s’intende quella per l’automobile, fu quella della caccia, anche se Varzi preferì la caccia di riserva, e Nuvolari il tiro al piccione. Il galliatese aveva anzi preso in affitto una magnifica riserva sul Ticino, dove invitava sempre con molta signorilità gli amici, tra costoro Pietro Ghersi.

 

Sparavano entrambi egregiamente, ma Varzi non era mai soddisfatto delle sue partite di caccia; il suo carattere lo portava alla perfezione, e non ammetteva errori o meglio “padelle”. Nuvolari, che era molto amico dell’olimpionico Rossini, era meno esigente; ma fra di loro la caccia era spesso motivo di discussioni o di canzonature. Erano spesso volate sfide tra i due, ma io non ricordo che ce ne siano state, mentre era quasi arrivata a conclusione una “sfida” sul serio, architettata da alcuni incauti tifosi delle due parti, i quali volevano contrapporre sulla pista di Monza, i due amici-rivali al volante di due vetture equivalenti.
Varzi e Nuvolari, me ne avevano parlato e tutti e due per avere un consiglio. Li convocai sulla autostrada, per evitare intromissioni e supposizioni, e l’accordo fu raggiunto senza tante parole: si strinsero la mano e la sfida tramontò. Non era, evidentemente, il caso, sia per l’uno che per l’altro di mettere in gioco tutta una carriera, su una sola corsa. Ma Varzi non dimenticò mai che Nuvolari era un amico, al quale doveva tutto il rispetto. Non si era affatto adontato, ad esempio, quando nel corso di una cena ad Adenau (Nurburging), per festeggiare la vittoria di .Caracciola su Alfa Romeo nel G. P. di Germania, alla domanda “come classificherebbe i corridori attuali?” Nuvolari aveva scritto su un pezzetto di carta: 1° io, 2° Achille, 3° Chiron, 4° Borzacchini, 5° Caracciola, 6° Fagioli.
Varzi a sua volta aveva diplomaticamente risposto con una allusione: ” fra lui (Nuvolari) e gli altri c’è almeno una classe di differenza “. Ma bisogna osservare che Varzi, a quel gran premio, aveva partecipato….come spettatore, standosene in tribuna e che pertanto lui si estrometteva da quella classifica. Il galliatese, che gli amici avevano soprannominato ” el legora “, (la lepre), quando poteva fare una gentilezza a qualcuno, la faceva volentieri, tanto più a Nuvolari, sul quale sapeva di avere un sicuro ascendente. Aveva, fino dai primi approcci compreso, e più che compreso “sentito”, che il mantovano, così come del resto la maggior parte dei suoi avversari sportivi, preferiva non pestargli i piedi, non assumere insomma posizioni di aperto contrasto. C’era il modo di accordarsi senza danneggiarsi a vicenda. E dopo i primi anni, avevano trovato e, spesso applicato, una linea di accordo, dividendo di volta in volta i premi della corsa. Era il modo migliore, anche se appartenevano à squadre od a formazioni diverse, di mantenere un legame. Era del resto una pratica comune, specialmente tra corridori di una stessa squadra e levatura. Per Varzi e Nuvolari, l’accordo si limitava alla parte economica. Ma sul risultato non transigevano; ciascuno dei due, nella parte finale della competizione si comportava liberamente, senza vincoli od impegni sportivi. E lo dimostrarono gli arrivi entusiasmanti delle corse nelle quali – come a Montecarlo, come alla Mille Miglia, come a Tripoli – Varzi e Nuvolari tennero fino all’ultimo sul filo, enormi folle acclamanti ed urlanti. Erano, come avrete compreso, non soltanto due grandissimi guidatori, ma anche due eccelsi artisti dello spettacolo; spettacolo di cui solo il galliatese di solito era il regista. Anche queste esigenze spettacolari, oltre quelle determinate dalla insopprimibile rivalità, portarono i due – naturalmente – alla scelta delle macchine da impiegare, della formazione alla quale. appoggiarsi. Lo si constata dalla tabella che segue: se Nuvolari correva per una marca, Varzi correva per un’altra. Raramente vissero sotto lo stesso tetto “sportivo”, e quando dovettero, per breve tempo, viverci furono guai per loro e per la “casa” o la scuderia. Quando Achille sollecitato da Alfredo Ricordi, per conto dell’Auto Union, firmò il contratto con la casa tedesca, volle piena libertà di azione. Regolò subito, fino dal primo anno, al volante della poderosa ed inconsueta Auto Union, quel grande specialista e combattente che fu Bernard Rosemeyer, ritenuto insuperabile sulla nuova “grand prix” di Chemnitz, sul difficilissimo circuito di Pescara; battè Wimille .su Bugatti a Tunisi, giunse secondo dietro Caracciola (Mercedes} a Tripoli, attardato da cambi di pneumatici. L ‘anno dopo si prese la rivincita, superando sempre a Tripoli, il suo circuito preferito, Hans von Stuck, che faceva parte come lui della squadra ufficiale tedesca. C’erano due ragioni fondamentali che facevano preferire a Varzi il Gran Premio di Tripoli a tutti gli altri: prima, perché era, con quella dell’ Avus, la corsa più veloce del mondo (e all’Avus Varzi, guidando una Bugatti aveva vinto nel 1933 alla media di 207 km orari),

 

seconda, perché bastava conquistare il primo premio della gara africana per sistemare, in maniera sostanziale il bilancio economico dell’anno. Quell’anno, Varzi riuscì a , fare la “doppietta”, e vinse sia all’Avus che a Tripoli, al volante di una Bugatti, precedendo di una macchina Nuvolari su Alfa Romeo e Birkin su Maserati. E tra lui, Nuvolari e Borzacchini si spartirono due milioni e quattrocentomila lire. Una fortuna, costituita dalla massa dei premi in palio, che era di 500.000 lire (dell’epoca), e dai premi della Lotteria di Tripoli, quell’anno per la prima volta istituita, a somiglianza di quella ippica di Dublino. Questa prima Lotteria di Tripoli, che aveva reso oltre 15 milioni di lire, aveva anche permesso di costruire il magnifico Circuito della Mellaha, certamente uno dei più belli che la storia dell’automobilismo sportivo ricordi; nel dopoguerra venne completamente demolito. Era facile mettere d’accordo Varzi, Nuvolari, Borzacchini, ed i tre possessori dei biglietti della Lotteria ad essi corrispondenti, ma molto più difficile era stato il tentativo di accordare Varzi e Nuvolari sulla tattica da applicare nella grande corsa. Fatto sta che dopo una corsa tirata allo spa- , simo fino dall’inizio, specialmente per le dure reazioni di Campari e dj Birkin su Maserati, Nuvolari all’ultimo giro si trovò in testa seguito a poche macchine di distanza da Varzi. Il finale è stato uno dei finali più entusiasmanti che io ricordi; l’Alfa Romeo del mantovano e la Bugatti del galliatese, si equivalevano in velocità assoluta. Varzi si attaccò alla coda dell’Alfa Romeo, si fece tirare da Nuvolari per i quattro chilometri del rettifilo finale e, scattando con uno scarto negli ultimi tre o quattrocento metri, riuscì a sopravanzare l’avversario di poco meno di una macchina. Borzacchini era stato messo fuori corsa fino dai primi chi1ometri, ed i tre si divisero 800.000 lire a testa. La media tenuta da Varzi e Nuvolari era stata di 168.598 chilometri orari. Varzi era felice, aveva trovato la corsa che faceva per lui: veloce, difficilissima e redditizia, molto redditizia. L ‘anno dopo tornò a Tripoli e, questa volta con la squadra della scuderia Ferrari, formata appunto da Varzi e da Chiron, Trossi e Moll, tutti e quattro al volante delle nuove tre litri Alfa Romeo, al collaudo in vista dei grandi premi della stagione. Forzatamente, assente Tazio Nuvolari il quale nel corso di un pauroso incidente, provocato dalle strade viscide del circuito di Alessandria, si era fratturata una gamba, i milioni del G.P. di Tripoli del 1934, sembravano alla merce del galliatese e del suo amico Louis Chiron. La Lotteria tripolina aveva venduto circa il doppio di biglietti dell’anno prima, ma non esistevano accordi con i detentori dei biglietti, avendo il comitato organizzatore deciso che le estrazioni per gli accoppiamenti avvenissero sull’autodromo, non appena data la partenza della corsa. Comunque i milioni per i vincitori c’erano (per regolamento della Lotteria l’uno e mezzo per cento dell’incasso per la vendita dei biglietti – circa tre milioni – veniva assegnato al vincitore, l’uno per cento al secondo classificato, e lo 0,5 per cento al terzo), e Varzi e Chiron s’erano accordati di dividere gli eventuali premi guadagnati. Non era d’accordo con loro il giovane ed irruente Guy Moll, che intendeva fare da sé. Fu questo dissidio interno tra i corridori della squadra della Scuderia Ferrari, a condizionare la corsa, dopo il velocissimo inizio di Piero Taruffi, che disponeva di una potente Maserati 16 cilindri di cinque litri di cilindrata. Messo fuori combattimento Taruffi per una uscita di strada, ed attardato Chiron da una disfunzione del sistema di lubrificazione, Varzi si trovò sul finale con l’Alfa Romeo di Moll alla coda, e si ripetè in senso in verso l’arrivo dell’anno prima. Fu ancora il galliatese ad avere la meglio, per poco più di una macchina, e ad intascare il cospicuo premio della Lotteria di Tripoli. La media record sali a 186,149 chilometri orari.

 

A Tripoli Varzi ci aveva preso gusto e, naturalmente, nel 1935, vi tornò, mancando di poco una terza affermazione, a causa di una serie di distacchi di battistrada, che attardarono un po’ tutti i piloti in gara. Tornò però alla vittoria nel 1936, precedendo von Stuck (Auto Union), e Fagioli (Mercedes). Nel giro di quattro anni, Achille Varzi aveva dunque vinto tre volte la corsa più veloce del mondo, giungendo secondo, una volta. Solamente Herman Lang poteva compiere la stessa impresa tra il 1937 ed il ’39, al volante della Mercedes, ed assente Varzi, che si avviava verso un declino doloroso di cui pochi intimi conoscevano le cause.
Alla Mille Miglia, fino dalla prima edizione disputatasi nel 1927, Varzi s’era subito particolarmente interessato; aveva capito che era una manifestazione che un campione doveva vincere almeno una volta, e che oltretutto aveva tutti i numeri per assicurare una larga notorietà a chi l’avesse vinta. Ma occorreva trovare la vettura adatta al percorso stradale di questa manifestazione. A differenza di Nuvolari che non andava, almeno apparentemente, tanto per il sottile nella scelta e nella preparazione delle sue macchine, Varzi era di una scrupolosità a volte disarmante. Viene a proposito un episodio raccontato da Enzo Ferrari nel suo libro “Le mie gioie terribili”.
Mancavano poche ore al via del G.P. di Montecarlo – scrive Ferrari – quando io arrivai dall’Italia e trovai il mio collaboratore Bazzi pressoché annientato dalle bizze di Varzi. Il nostro Achille si dichiarava insoddisfatto della macchina e criticava soprattutto la posa di guida; aveva fatto cambiare dai meccanici una decina di cuscini, ma non ne aveva trovato uno che gli Consentisse una sistemazione di suo gradimento. Assistetti così alla fase finale della discussione (tra Varzi ed i meccanici). Varzi chiese finalmente un paio di cuscini, li soppesò, misurò la loro altezza e decise che per arrivare alla perfezione, occorreva che fossero un poco più alti, ma non tanto da richiedere un terzo cuscino. Bazzi diede un’occhiata e lo invitò ad andare a prendere un caffè; al suo ritorno, promise, avrebbe trovata la sistemazione da lui voluta.
” Appena Varzi si fu allontanato, Bazzi afferrò il Corriere della Sera che avevo in tasca, lo piegò in quattro, lo nascose sotto i cuscini. Varzi tornò poco dopo, provò la posizione: “perfetto, si”, – mormorò -, e ringraziò quasi commosso “. L’episodio può sembrare “assurdo” come dice Enzo Ferrari, ma è perfettamente aderente alla concezione che Varzi aveva della tecnica e dello stile di guida; a quella concezione ” utilitarista ” che sembrava aderire perfettamente alle teorie di Guglielmo Ostwald, per il quale ” ogni realtà è energia, compresa l’opera d’arte che va apprezzata in funzione del suo rendimento energetico “.
» Stato per questa sensibilità quasi irrea1e che il gal1iatese al volante, toccò le più alte vette dell’arte di guidare; arte che si manifestò non solo esteticamente (era un piacere vedere Varzi all’opera, specialmente sui circuiti tormentati), ma fisicamente attraverso i tempi eccezionali che egli sapeva sempre far registrare, sia durante le prove che in gara. Tra le sue grandi imprese, il tempo migliore assoluto segnato sull’anello della vecchia pista di Monza. Varzi, al Volante della sua Alfa Romeo due litri, nel Corso di una batteria del Gran Premio Monza, riusciva a fare scattare il cronometro su un minuto e 21 secondi, equivalente, come media sui 4500 metri della pista, a 200 chilometri all’ora esattamente. Questo record, che sbalordì i tecnici dell’epoca, era il risultato di un calcolato e progressivo inseguimento, al quale il galliatese era stato costretto per un arresto al box, subito dopo la partenza, a causa dell’apertura del tappo del radiatore. Varzi aveva perduto una ventina di secondi, ed era riuscito egualmente ad entrare in finale. Per va1utare in tutto il suo significato questa impresa, occorre ricordare che l’anello della vecchia pista di Monza, ammetteva una velocità teorica di 190 km/h, con coefficiente di attrito pari a 0,45.
Nella Mille Miglia, alla quale Varzi prese parte quattro volte, portandone alla fine tre, si classificò terzo nel 1929, in coppia con Colombo, seguendo Campari-Ramponi e Morandi-Rosa; secondo nel 1930, in coppia con Canavesi, al volante di una Alfa Romeo 1750, dietro Nuvolari che pilotava lo stesso tipo di vettura, in coppia con G..B. Guidotti; e primo in quella del 1934, sempre al volante di una Alfa Romeo, equivalente a quella di Nuvolari, che lo seguiva ad otto minuti. Le due Mille Miglia del 1930 e del 1934, costituiscono senza dubbio, due avvenimenti di spicco nel ciclo storico della grande competizione bresciana. Sia perchè sono praticamente le due grandi competizioni nelle quali il “duello” Varzi-Nuvolari, ha potuto svolgersi in condizioni di equivalenza di mezzi meccanici, sia perché ha avuto luogo su un terreno di gara quanto mai impegnativo per tracciato e per chilometraggio. Sulle due Mille Miglia di Nuvolari e Varzi che costituiscono, nella loro storia di campioni del volante, due manifestazioni fondamentali, col tempo, si sono creati; anche da parte di estranei o di interessati, piccoli romanzi o piccoli drammi. Ma la realtà resta una sola, e conferma i giudizi su questi due personaggi così dissimili, eppure tanto vicini e l’uno all’altro necessari. Come ha scritto Marco Ramperti che li ha conosciuti ” Varzi è il veggente; Nuvolari l’ispirato; Varzi è colui che di tutto si accorge sino all’atomo e all’attimo, in volata come da fermo; Nuvolari colui per cui la corsa è un canto, un dialogo con lo spazio e coi venti “… ” Varzi è in grado di garantire ogni cosa con una esattezza da verbale controfirmato, Nuvolari non ricorda niente, Varzi ricorda tutto. L’uno vive nella leggenda, L’altro nella cronaca “. E mi pare abbia, con felice sintesi tratteggiato i due caratteri. Quando Ramperti scriveva queste righe, Achille Varzi era al culmine della sua forma e della sua. popolarità: aveva già conquistato tre campionati assoluti d’Italia: l’ultimo, quello del 1934, l’anno che lo aveva visto sette volte primo assoluto: alla Mille Miglia, a Tripoli, ad Alessandria (Circuito Pietro Bordino), alla Targa Florio, al Montenero, al G.P. di Nizza, sempre con l’Alfa Romeo.

L’anno dopo passava alla Auto Union; vinceva a Tunisi ed a Tripoli, poi lentamente si avviava verso un declino prematuro e doloroso, del quale lui stesso si rendeva conto. Nel 1936 non aveva vinto che a Tripoli (per la terza volta) e si era classificato al secondo posto assoluto a Montecarlo, a Milano (Circuito di Milano) e nel G.P. della Svizzera. La grande vittoria di Tripoli, poteva soddisfare le sue esigenze economiche, non quelle sportive. Cosa era accaduto? E’ la storia penosa ed umana, della quale bisogna parlare, anche perché, dopo l’ultima grande guerra, quando Varzi riprese appieno la sua attività di corridore, praticamente cominciando da zero, ne ha largamente parlato la stampa tedesca. Passato alla squadra di Chemnitz, Varzi vi aveva conosciuto la graziosissima moglie di un corridore austriaco; se ne era invaghito – e per lui deve essere stato un avvenimento imprevedibile e sconvolgente – aveva intrecciato con lei un rapporto affettuoso e, come era e doveva essere per un uomo come Varzi, esclusivo e totale. Le corse per lui, erano passate in secondo piano o, meglio, costituivano un accessorio prettamente economico. Cominciò a trascurare gli allenamenti; giungeva sui campi di gara all’ultimo momento, spostandosi il più delle volte in aereo, e sottoponendosi a lunghi viaggi in automobile, ma quello che è peggio, abusando di stupefacenti, ai quali lo aveva avviato inconsciamente la sua amica. Ed anche in questa sua nuova consuetudine” Varzi si gettò a capofitto, come era nel suo carattere. Se ne rendeva conto; alcune volte me ne aveva parlato, ma non riusciva a sottrarsi. Nel 1937, i dirigenti della squadra Auto Union, ai quali non erano sfuggite le preoccupanti condizioni fisiche del galliatese, non lo fecero correre che al G.P. d’Italia a Livorno. L’altra corsa in tale anno alla quale partecipò, vincendo, fu il circuito di Sanremo, manifestazione di seconda importanza, per la quale Varzi aveva ottenuto una Maserati. Poi l’allontanamento definitivo dalla squadra Auto Union, l’intervento delle autorità sportive, che non potevano non preoccuparsi delle anormali condizioni fisiche di Varzi, e infine il ritiro del passaporto e della licenza di conduttore.
Varzi tentò e ritentò la via della guarigione, ma , fu solo dopo l’inizio della guerra che riuscì e, miracolosamente, come ebbero a dirmi alcuni amici, ad abbandonare il. suo deprimente e pericoloso comportamento. Come suo amico, avevo ritenuto mio dovere di intervenire, con molta franchezza ed energia, presso Varzi, fino dal novembre del 1937, e Varzi me ne fu grato, anche se poi per molti mesi, da me si allontanasse.
Ci rivedemmo subito dopo la fine della guerra, quando lo convocai con Brivio, Lurani, Trossi, Farina, per formare il comitato straordinario degli sportivi dell’automobile, che doveva portare alla creazione della Associazione Sportiva degli Automobilisti Italiani (ASAI). Una associazione che aveva come scopo fondamentale, e direi unico, di raggruppare gli sportivi, anzi i praticanti della attività automobilistica, per ricondurre in seno alto, era la verità. Alla mia risposta francamente positiva, si dimostrò felice: “avevo bisogno – aveva detto – di sapere se vado ancora”. Ed andava ancora, davvero. Al G. P. di Torino, del settembre 1946 aveva dominato sia Wimille, il quale pilotava una Alfa Romeo, come la sua, ma a doppio compressore invece che ad un solo compressore, sia Raymond Sommer, al volante di una Maserati 1500 sovralimentata.!  A commento di questa gara avevano scritto:
” Achille Varzi a Torino, ha dimostrato di essere quello di un tempo: sicuro, potente, stilista impeccabile. La sua vittoria è pienamente meritata. Con Wimille guidò tutta la corsa (i due piloti si alternarono al comando per trenta giri ciascuno), e sul finale impose la sua esperienza e la sua classe, sotto un diluvio di pioggia “. E secondo il suo stile abituale. C’era anche Nuvolari, ma aveva dovuto ritirarsi per avarie meccaniche. Era un altro Nuvolari, almeno come guidatore: aveva mutato stile e posizione di guida: non più eretta, con le braccia puntate sul volante con la testa protesa in avanti, le braccia piegate, il busto curvo. S’ era notato che il suo rendimento non era quello di una volta. Con Trossi e Wimille, Varzi  faceva ormai parte ufficialmente di quella che fu chiamata ” la squadra magica “.Una delle più equilibrate, aristocratiche e possenti formazioni di corridori che una casa, e non solo l’Alfa Romeo, abbia mai avuto alla difesa dei suoi colori. Com’era quasi magicamente sorta dalle rovine e dai disastri della guerra, così magicamente si era dissolta nel breve giro di dieci mesi Il primo luglio del 1948, sul circuito di Bremgarten a Berna., durante alcuni giri di prova, l’Alfa Romeo 158 di Varzi, probabilmente investita da una zaffata d’acqua provocata dalla vettura del compagno di squadra Wimille, era stata vista dopo la Jordenrampe, uscire di strada lungo il terrapieno costeggiante la pista, e poi rovesciarsi lentamente, imprigionando il suo pilota, che veniva raccolto esanime.

 

 

 

Sette mesi più tardi, a Buenos Aires, cadeva Wimille, durante un giro di prova, al volante di una Simca. Poche settimane dopo, perdevamo anche Didi Trossi, stroncato da un inesorabile male. Telefonandomi da una clinica di Zurigo Trossi mi aveva detto, poco prima di morire: come potremmo continuare a correre noi, se tutto ciò è potuto accadere ad Achille? Il trio perfetto cessava così di esistere e potremmo dire con Shakespeare: ” niente perdura nella sua perfezione, perché la perfezione giunta al sommo muore di pienezza “ Alla sua morte la bara viene lasciata per tre giorni e tre notti sulla scocca di una macchina da corsa nella chiesa di Galliate ed i suoi amici la vegliano costantemente.

Circa 15.000 persone presenziano al suo funerale. Nel saluto d’addio gli amici lo ricordarono con la seguente citazione: “Forse tu eri destinato a morire, Achille, perché nella tua guida c’era quel qualcosa di geniale che fa parte del mistero della natura, e la natura si sforza di eliminare coloro che vi si avvicinano troppo al compimento. – “Beethoven venne colpito dalla sordità quando sembrava che stesse per trascendere il potere umano dell’espressione musicale, Galileo fu accecato quando stava per scoprire l’infinito e le sue leggi, le mani di Leonardo da Vinci vennero colpite dall’artrite quando era vicinissimo alla perfezione delle sue creazioni. Ed anche tu, Achille, sei stato fermato quando stavi per attraversare le frontiere conosciute della velocità. Ora ti devi preparare per un’altra gara, l’ultima grande gara.

 

 

 

 

Una gara senza pericoli, preoccupazioni o dolore. Buona gara, Achille.”

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